Si tratta di una della più intriganti domande dell’astronomia: i buchi neri supermassicci come sono riusciti a formarsi nelle epoche cosmiche primordiali? Sono stati osservati quasar luminosi distanti che testimoniano la loro esistenza già ai tempi in cui l’Universo aveva meno di un miliardo di anni. Ma ecco il problema: il processo di crescita di un buco nero è troppo lento per permetterne l’esistenza.
Esistono varie spiegazioni. Alcuni sostengono, ad esempio, che questi buchi neri supermassicci siano nati dall’esplosione di stelle supermassicce, dalla collisione di grandi nuvole di gas o persino dalla collisione di buchi neri più piccoli. La teoria che ha attirato l’attenzione del dott. Muhammad Latif, tuttavia, era che tali buchi neri nascono in effetti da semi di buchi neri a “collasso diretto” estremamente grandi.
Grazie al finanziamento tramite il progetto FIRSTBHS (The formation of supermassive black holes in the early universe), il dott. Latif ha simulato la formazione e la crescita di tali semi.
Cosa rende così interessanti i primi buchi neri supermassicci?
I primi buchi neri supermassicci sono molto interessanti perché si sono formati nell’Universo infantile, entro i primi miliardi di anni dopo il Bing Bang, che è solo una piccolissima frazione dell’età dell’attuale Universo (13,7 miliardi di anni). Essi sfidano la nostra comprensione della formazione della struttura dell’Universo.
Una buona similitudine sarebbe una sitazione in cui si andrebbe in una scuola materna per trovarvi un bambino alto due metri. Ci si chiederebbe naturalmente come questo bambino sia riuscito a crescere così tanto. La stessa cosa accade con i buchi neri: la loro massa è miliardi di volte maggiore a quella del Sole ed è difficile capire come possano essere diventati così massicci in così breve tempo, quando le stelle e le galassie iniziavano appena a formarsi.
Più nello specifico, quali lacune di conoscenze intendevate colmare con questo progetto?
Il nostro scopo era di capire quale sarebbe il modo più valido per assemblare tali oggetti massicci. Esistono tre meccanismi astrofisici principali che potrebbero portare alla formazione dei primi buchi neri supermassicci. Lo scenario più promettente è il cosiddetto metodo del collasso diretto, che fornisce semi massicci, che ne agevolano la crescita.
Con questo progetto ci siamo proposti di studiare la fattibilità di tale scenario, quanto siano massicci i semi che può fornire e quanto siano abbondanti, confrontare la loro densità con osservazioni e studiare in dettaglio i meccanismi astrofisici sottostanti. Inoltre abbiamo mirato a derivare la loro firma di osservazione e fare previsioni per le future missioni spaziali e terrestri.
Come avete proceduto per riuscirci?
Abbiamo eseguito cosiddette simulazioni cosmologiche tridimensionali partendo da una situazione iniziale ab initio utilizzando la modellizzazione in dettaglio di tutti i processi fisici necessari.
Quali ritiene fossero gli aspetti più innovativi di questa metodologia?
Direi che sia la multifisica della nostra simulazione cosmologica, che includeva dettagliati modelli chimici e di turbolenza irrisolta, campi magnetici, trasferimento radiativo per modellare l’UV, feedback di raggi X da buchi neri e stelle cumulati, nonché arricchimento metallico. Questo approccio va oltre lo stato dell’arte nel campo.
Quali sono state le più importanti scoperte del progetto?
I nostri risultati rivelano che il meccanismo di collasso diretto fornisce semi di buchi neri supermassicci di massa solare da 10^5 a 10^6, che potrebbero crescere per formare i primi buchi neri supermassicci.
Le condizioni per la formazione di tali oggetti sono ideali nell’Universo primordiale. In particolare, gli aloni massicci intatti illuminati da un forte flusso UV sono culle potenziali per la formazione di buchi neri massicci. Le nostre scoperte suggeriscono che tali oggetti sono rari, in quanto richiedono condizioni particolari per formarsi – ma ciò è ancora oggetto di discussione tra gli esperti.
Cosa vi aspettate dalle missioni JWST e ATHENA?
Speriamo che JWST riuscirà a trovare alcuni dei semi di buchi nerci, poiché questi oggetti distanti sono alquanto fievoli negli stadi iniziali. Ovviamente, dipende anche da quanto siano abbondanti, che resta una domanda aperta.
ATHENA sembra più promettente, poiché dovrebbe rilevare alcune centinaia di AGN a bassa luminosità a z>6 che aiuterà a controllare i modelli di formazione dei buchi neri.
Quali sono i vostri piani per un eventuale follow-up?
Stiamo attualmente studiando la crescita dei buchi neri nell’Universo primordiale per cui abbiamo svolto simulazioni dettagliate. Con i miei collaboratori stiamo tentando di capire come il feedback dal buco nero e dalle stelle incide sulla crescita dei buchi neri, e anche il ruolo dell’ambiente, i flussi freddi che nutrono questi buchi neri, ecc. Il nostro obiettivo è di derivare osservazioni sintetiche per E-ELT, Euclid, ATHENA, JWST e SKA, e speriamo che un tale approccio ci aiuterà a capire la formazione e crescita dei primi buchi neri supermassicci.
FIRSTBHS
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